Mia dolce Ura,

Quanto tempo ancora dovrà passare prima che tu possa leggere questa lettera. Lettera che è già stata scritta mille volte e che mille volte è stata respinta nel labirinto delle combinazioni, senza potersi mutare in essere.

Tenterò, oggi, di chiudere gli occhi e fingere di avere deciso che tu sia felice di ricevere questa lettera, felice di leggerla e felice di apprendere ciò che essa, con spietata puntualità, riferisce. Tenterò di cristallizzarla in una forma stabile e definitiva, immutabile e fissa: potrò scrivere altre lettere che correggano e completino il senso di questa; esegesi, esegesi delle esegesi; ma la forma di questa singola lettera è unica.

Oggi, di nuovo osservo il sentiero nervoso dell’inchiostro violentare il muto ordine di un foglio vuoto. Ogni giorno rileggo, come in uno specchio, del tempo che è trascorso, che ho trascorso lontano da te, dolce sorella. E questo specchio mi rimanda l’immagine di un uomo mutato. Ho paura, sorella. Quando mi allontanai da te promisi che sarei tornato presto… Mia povera Ura! Tharkin questa volta potrà mantenere la sua parola. Non potrai più giocare con lui a nasconderti o a contare le stelle prima di andare a letto. Non potrai più giocare con la sua lunga treccia da apprendista. Quel Tharkin, sorellina, non esiste più.

La pelle rosata, le labbra carnose non sono più: il lisch che mi ricopre il corpo ed il volto ha trasformato il viso, una volta gioviale, in una dura maschera dal pianto d’argento ed ha mutato i miei neri capelli in… metallo vivo. La mia bocca sempre pronta a spalancarsi al riso nei tuoi scherzi di bambina ha perso la sua natura. Le labbra, ormai pallide, si sono indurite ed assottigliate mutando il sorriso in una dritta bacchetta di salice: rigida ed immota. Il mio corpo si é fatto vecchio, quasi innaturalmente; è un corpo asciutto, profondamente segnato dalla fatica e dalla conoscenza. E dall’errore. E i miei occhi… I miei occhi non potranno più dissetarsi nei tuoi come quando tornavo dall’Accademia e mi raccontavi minuziosamente di te che ti affacciavi al mondo.

Amata sorella, i miei occhi hanno perso la luce che ti faceva sorridere e ti calmava quando stavi male: sono cieco, Ura. Da un tempo ormai che sembra potere riempire un’intera vita (ché in effetti un’intera vita mi separa da quello che ero). Il tempo e gli eventi mi hanno indurito e segnato, quasi che le cicatrici ed i segni che porto sul corpo siano una rappresentazione esteriore di come sia stata percossa, graffiata, straziata la mia anima.

Sono passati già cinque anni da quando ci siamo abbracciati l’ultima volta. Devi essere grande, ormai. Quasi duecento lune. È una età importante: sei una donna, ormai. Non so se potrò tornare a Samaris in tempo per assistere al tuo Passaggio ma voglio che tu sappia che anche se sono così mutato nella mente e nel corpo, lo spirito è il medesimo di quando ti lasciai. I miei affetti per Gund, Oisin, Verdak, per i nostri amati genitori e per tutti coloro che amavo, sono immutati. E se è possibile questo amore che vi porto è oggi ancora più forte di allora .

Ormai non sei più una bimba e posso dirti tutto questo. Non posso promettervi di tornare presto e forse non riuscirò mai a ricongiungermi a voi; ma vi prego: non credete mai a chi vi raccontasse che ho tradito gli affetti che ho sempre nutrito e sappiate che è stato l’amore che vi porto a muovere ogni mio passo ed a dettare ogni mia scelta.

Tharkin

lettera_a_ura.txt · Last modified: 2009/03/13 21:21 (external edit)
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